Il nostro Natale, fra decreti degli uomini e progetti di Dio che danno speranza – Omelia nella Santa Messa della Notte di Natale

“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra” (Lc 2,1). Mai come in quest’anno siamo stati messi nella condizione di comprendere il senso di un decreto volto a regolamentare la vita civile: la situazione della pandemia ci accomuna ad altri popoli per i provvedimenti presi dalle autorità competenti, per il nostro bene comune. Il decreto di Cesare Augusto, per censire gli abitanti del vasto Impero romano, mobilitò le popolazioni perché andassero a farsi registrare nel loro luogo d’origine; i decreti di questi giorni ci costringono a fermarci e regolamentano giustamente i nostri spostamenti, per salvaguardare la vita e la salute dei più fragili.

Nelle pieghe di questo momento storico, i progetti di Dio avanzano silenziosamente e non vengono intrappolati: Dio agisce sempre con il suo amore di Padre ed illumina anche il nostro tempo, nel quale l’attenzione può essere giustamente catturata da ciò che responsabilmente dobbiamo fare o da ciò che ci manca, e per cui sentiamo sofferenza e dolore. Manifesto vicinanza e prego per i malati ricoverati nei reparti Covid, in attesa di vedere la luce al di fuori del tunnel; per tutte quelle persone che, in questi giorni, non potranno avere la gioia di riabbracciare i loro figli o i loro anziani genitori; inoltre, con voi tutti manifesto gratitudine a chi sta facendo il proprio dovere sia nelle corsie degli ospedali, sia per le strade, per controllare comportamenti che potrebbero essere nocivi alla salute pubblica.

Dio è nato e continuiamo a celebrare la sua nascita in tutte le epoche della storia perché da quando è stato dato alla luce a Betlemme dalla Vergine Maria, non ha mai abbandonato il mondo, e in esso misteriosamente continua ad agire con la forza della sua Grazia e attraverso la testimonianza di chi crede in Lui e si fa suo strumento. Non hanno fermato l’annuncio della sua nascita neppure quei decreti che hanno annunciato la morte di Dio nei Paesi che si sono proclamati atei; né lo fermeranno quelle leggi economiche che decretano nei loro sistemi la morte dei poveri o il loro sempre maggiore impoverimento.

I poveri ci sono ancora: sono la negazione della nostra capacità di essere fratelli e di attuare i progetti di Dio, e il Papa ci ricorda che “Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale. Infatti, in altri tempi, per esempio, non avere accesso all’energia elettrica non era considerato un segno di povertà e non era motivo di grave disagio. La povertà si analizza e si intende sempre nel contesto delle possibilità reali di un momento storico concreto” (Fratelli tutti, 21).

Gesù Cristo è nato e l’annuncio della sua nascita si diffonde nel mondo ripetendo quelle espressioni che furono proclamate ai pastori, primi destinatari non dei decreti di Cesare, ma di quelli di Dio che, nel suo protocollo e nelle epigrafi delle sue missive, privilegia sempre i poveri; e noi forse non l’abbiamo ancora capito. Alla vista dell’angelo i pastori si impauriscono e anche per loro risuona quel “Non temete!” che non ci lascia soli nella storia. Non lascia sola Maria, Giuseppe, neppure Zaccaria, il padre del Battista, povero di fede e di speranza. Questo invito carico di speranza nel futuro è stato il messaggio che come Vescovo ho voluto consegnare ad ognuno, come eco di quello dell’angelo, messaggero di Dio. E ad esso ho accostato le parole di un annunciatore della pace come don Tonino Bello, che esorta, quando la paura bussa alla nostra porta, di inviare ad aprire la fede, la speranza, la carità, per ricevere la bella sorpresa, che essa ha già tagliato la corda, e dietro la porta non troviamo più nessuno.

L’angelo che appare ai pastori dà sostanza al suo messaggio e non si ferma ad una vuota rassicurazione perché prosegue: “Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,11). Anche qui la notizia è delle più belle. Anzi, la più bella. Perché quei pastori al fuoco dei loro bivacchi non si sentissero esclusi, come di fatto lo erano già, dal Tempio, dalle piazze, dai giorni di festa, ma fossero i primi invitati a far visita al Signore, ed è per questo che ricevono un segno con cui lo riconosceranno: il Salvatore sarà un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Un segno non di distinzione, ma di vicinanza alla loro condizione, perché forse anche le loro mogli, quando portavano loro il cibo dalle loro case, posavano i loro lattanti sulla paglia, nelle mangiatoie delle stalle.

La mangiatoia e le fasce sono il segno distintivo di Dio fatto uomo, segno di vicinanza, di prossimità, di fraternità, che sovverte tutti i canoni umani, anche quelli della Rivoluzione francese che, in cima agli alberi della libertà, ha issato il trinomio libertà, uguaglianza, fraternità. Gesù Cristo non parte dalla libertà, né dall’uguaglianza, ma dal sentirsi fratello, per farci capire quando si è davvero liberi dai lacci dell’egoismo: se ami una persona come un fratello, non la incateni ai tuoi pregiudizi, alle tue voglie, a un salario di fame che ne fa solo un dipendente o, peggio, lo rende schiavo. Se ami uno come un fratello lo consideri uguale, figlio dello stesso Padre che è nei cieli.

Papa Francesco ce lo ha ribadito: che cosa accade se la libertà non è animata dalla fraternità? Egli risponde: “Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore” (Fratelli tutti, 103).

E cosa accade se si vuole essere uguali, ma senza passare dalla fraternità? Risponde ancora il Papa: “Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che ‘tutti gli esseri umani sono uguali’, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. Coloro che sono capaci solamente di essere soci creano mondi chiusi” (Fratelli tutti, 104).

Quella notte, il “Non temere!” si è arricchito di una certezza, che cioè Dio si è fatto vicino, che tutti gli uomini sono amati dal Signore, che Dio è venuto ad indicare una strada di salvezza per i credenti, ma anche per i non credenti, che è la fraternità.

E allora, mentre i decreti, come al tempo di Cesare Augusto, vogliono giustamente regolare la nostra vita civile, scopriamo che i progetti di Dio vanno oltre, e ci fanno andare al di là delle preoccupazioni del momento, perché ci interpellano per un futuro migliore. Ci invitano a non temere e ad andare verso gli altri con l’umiltà di chi si sente fragile – la pandemia ce lo ha ricordato – e nessuno si può sentire estraneo agli altri.

I progetti del Signore ci invitano ad andare verso gli altri come verso fratelli, e a misurare la nostra libertà e il nostro desiderio di essere uguali con la verità della fraternità. La pandemia ci aiuti ad essere meno egoisti, più solidali, più consapevoli della fragilità nostra e degli altri, più fratelli.

Il sigillo di Dio a questo annuncio è il canto degli angeli “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini, amati dal Signore”: cioè tutti gli uomini, perché Dio ama tutti!

Il sigillo dei pastori è il loro muovere i passi verso il Dio fatto Bambino, il Figlio di Dio che si è fatto nostro fratello, in una transumanza che ci fa uscire da egoismi e assopimenti della nostra fede, nei quali, se ci crogioliamo, perdiamo la gioia di incontrare il Signore. Perciò, come i pastori, “Andiamo fino a Betlemme”. Ognuno sa quale Betlemme lo attende, per incontrare Cristo Gesù, per incontrare il fratello.

 

 

† Luigi Renna

Vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano