PADRE NELLA FEDE
Omelia nella celebrazione diocesana per il defunto Papa emerito Benedetto XVI
Duomo di Cerignola, 4 gennaio 2023
- Un bisogno del cuore ci porta a raccoglierci in questa celebrazione diocesana, alla vigilia delle esequie del defunto Papa emerito Benedetto. Ieri sono stato a Roma a inginocchiarmi vicino alla sua salma e spiritualmente vi ho portato con me, raccomandando alla preghiera di papa Benedetto la Chiesa universale in questo frangente della storia, la nostra diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano, il ministero dei nostri sacerdoti e il mio servizio episcopale in mezzo a voi. Oggi ci ritroviamo per lui in questo Duomo, a conferma di ciò che egli ci ha detto: “Chi crede non è mai solo, non lo è nella vita e neanche nella morte”. Noi confidiamo che il suo cuore abbia potuto sperimentare questa dolce certezza nell’ora del suo passaggio all’altra vita, e che ancor di più lo sperimenti adesso mentre tutta la Chiesa prega perché la sua anima, purificata dalle scorie terrene, gioisca per sempre nella visione beatifica del cielo.
Ci colpisce il fatto che il vangelo di oggi, 4 gennaio, nel racconto giovanneo sull’incontro dei primi discepoli con Gesù, riporti quella parola singolare che il Signore rivolse al pescatore Simone: Fissando gli occhi su di lui, disse: Tu sei Simone, figlio di Giovanni. Ti chiamerai Kefa, che vuol dire pietra. Era la prima volta che s’incontravano. Simone era un uomo con i piedi ben piantati per terra, forse era andato un po’ scettico a vedere questo nuovo predicatore, di cui il fratello Andrea gli aveva parlato con tanto entusiasmo. Ma ora si sente guardato in profondità e ascolta un po’ stranito quello che Gesù gli dice: Tu sei Simone, figlio di Giovanni, cioè so chi sei e a chi sei figlio, so come sei, la tua indole, la tua sincerità e anche i tuoi punti deboli, conosco tutta la tua vita in ogni aspetto. Tu, proprio tu, ti chiamerai Kefa, un nome aramaico, dialettale, che l’evangelista si affretta a tradurre per noi. Ti chiamerai Kefa, che vuol dire pietra. Né Simone né gli altri in quel momento capirono perché quel cambiamento di nome. Ma intuirono che Gesù aveva un progetto particolare su di lui. Quel nome indicava una missione, che al momento giusto sarebbe apparsa chiara. Non certo per la fermezza del suo carattere, che anzi gli difettava; bensì in forza del mandato a lui affidato, Simone sarebbe divenuto Kefa, la solida roccia che avrebbe sostenuto la fede degli altri apostoli e della Chiesa fondata da Cristo.
- Fissando gli occhi su di lui, disse: Tu sei Simone, figlio di Giona, ti chiamerai Kefa, che vuol dire pietra. C’è stato un giorno in cui questa parola evangelica si è compiuta anche per il cardinale Joseph Ratzinger. Sotto le volte della Cappella Sistina, con sgomento ha sentito risuonare il suo nome tante volte, man mano che procedeva lo spoglio delle votazioni, fino al momento in cui gli è stata posta la domanda cruciale: Accetti l’elezione? Negli anni precedenti, raggiunti i limiti di età, aveva pregato più di una volta Giovanni Paolo II di sollevarlo dai suoi compiti a Roma, ma il papa gli aveva chiesto di restare accanto a lui fino alla fine. Morto Giovanni Paolo II, ormai pregustava il giusto riposo e non vedeva l’ora di tornare finalmente nella sua terra, in Baviera. E invece a 78 anni si sente porre quella domanda tale da far tremare a chiunque le vene e i polsi: Accetti? Umanamente avrebbe preferito altro, ma in quel momento i segni erano chiari: proprio a lui veniva chiesto di succedere a Giovanni Paolo II e di assumere il mandato dell’Apostolo Pietro. E lo vedemmo apparire al balcone della basilica in piazza San Pietro, con il nuovo nome di Benedetto XVI, timido e stupefatto, facendosi coraggio con pensieri di fede, e presentandosi sinceramente come un umile lavoratore nella vigna del Signore.
Tu sei Simone, figlio di Giovanni. Scegliendo il pescatore di Galilea, Gesù sapeva bene come era fatto, con i suoi pregi e i suoi punti deboli, ma ha voluto proprio lui come Roccia della Chiesa. Noi, invece, non conoscevamo il nuovo Papa o lo conoscevamo solo attraverso le immagini distorte che davano di lui i mezzi delle comunicazioni sociali, distorsioni che purtroppo hanno continuato a diffondere implacabilmente. Ma egli non si è fermato a raccogliere i sassi e a rilanciarli. Nella sua mansuetudine non reagiva, come Gesù: oltraggiato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta. Invece, finché le forze fisiche lo hanno accompagnato si è dedicato totalmente alla missione ricevuta, come Pastore e Maestro della Chiesa, ma anche come sereno interlocutore di chi cerca di camminare nella vita alla luce della ragione.
Il compito fondamentale di ogni successore di San Pietro è sempre identico, ma ogni Papa lo svolge con le sue personali caratteristiche. Così Joseph Ratzinger ha messo a servizio di tutti lo specifico carisma che il Signore gli aveva dato in abbondanza e che sempre lo ha contraddistinto: l’intelligenza penetrante unita al dono di saper insegnare in modo cristallino. Lo sapevano bene i giovani studenti che facevano ressa intorno alla sua cattedra, tanto che le aule universitarie non riuscivano mai a contenere tutti quelli che volevano seguire i suoi corsi. Sapevano l’ordito inconfondibile delle sue lezioni, la sua capacità di far affiorare le domande che l’intelligenza pone alla fede, la forza della logica e delle sue argomentazioni, il linguaggio limpido e piano, con sfumature a volte di poesia e di bellezza. Ma conoscevano anche la sua modestia, l’assenza di ogni sussiego, la gentilezza con cui si rapportava con chiunque.
E così lo abbiamo conosciuto anche noi, negli anni del suo pontificato. Quanta sicurezza e profondità nei suoi insegnamenti! Quanta fiducia in Dio, quanta speranza sapeva alimentare in noi nonostante le diagnosi lucidissime di cui era capace riflettendo sulle situazioni attuali! Egli è stato veramente Kefa, la solida roccia che ha sostenuto la nostra fiducia sempre vacillante. Sentivamo in Lui la gioia della fede, nutrita di preghiera, ancorata a ciò che non è mutevole e caduco. Sentivamo in lui l’amore per la Chiesa, per le ricchezze spirituali della liturgia, per il cielo stellato dei santi, per la bellezza che il cristianesimo ha generato in ogni espressione artistica, per la testimonianza di carità e di servizio di tanti discepoli di Gesù. E proprio perché amava la Chiesa, ha saputo chiamare per nome e ha affrontato con risolutezza la sporcizia, con cui l’hanno deturpata quei sacerdoti infedeli e corrotti, di cui si sono manifestati i peccati e i reati. Ma ciò non ha scalfito mai la sua fiducia nel bene, che è più grande del male. Così come il pensiero debole, tipico della cosiddetta società liquida, non ha scalfito mai la sua fiducia nella forza della ragione, e da qui è scaturito quell’incoraggiamento che egli ha dato in tante occasioni a non rinunciare all’uso della ragione, a non amputare la nostra intelligenza, a non restringerne l’orizzonte di ricerca e di riflessione. Ecco perché anche persone agnostiche ma oneste o atee ma oneste hanno espresso gratitudine per la “luce gentile” che promanava dalle sue parole.
Poi è venuto un insegnamento del tutto inatteso, derivante dalla sua meditata rinuncia al pontificato. Era una possibilità espressamente prevista dal diritto canonico, ma rarissima fino ad oggi nella lunga storia della Chiesa. Passato lo sconcerto iniziale, abbiamo compreso sempre meglio il suo coraggio e la sua umiltà nel compiere un passo così. Aveva constatato che la vita si va allungando, ma avvertiva che le sue forze fisiche diminuivano sempre più, e cominciò a interpretarlo come un nuovo segno che gli veniva dato. In quel periodo interrogò più volte la sua coscienza sensibile e matura, cioè interrogò il Signore, e con la calma che nasce quando le decisioni si prendono veramente in coscienza e davanti a Dio, fece la sua scelta. La fece per il bene della Chiesa, senza ritenersi insostituibile, riaffermando la sua fiducia nel Signore. “Ho sempre saputo – disse allora – che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare, è lui che la conduce”. E da allora un affetto ancora più grande verso papa Benedetto è cresciuto dentro di noi.
- In questi ultimi anni, vissuti in modo silenzioso, appartato e modesto, una cosa sola lo ha fatto soffrire: che il suo nome venisse contrapposto strumentalmente al nuovo Papa o venisse usato a pretesto per delegittimarlo. Invece abbiamo visto tutti il rispetto, la lealtà, il sostegno che il papa emerito ha dato a papa Francesco, mentre al tempo stesso siamo stati edificati dall’amore e dalle attenzioni che papa Francesco ha avuto verso papa Benedetto e dall’alta stima che in tante occasioni ha testimoniato nei suoi riguardi. Fratelli sacerdoti e voi tutti, figli e figlie di questa diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano, accogliamo con gratitudine anche questo suo ultimo insegnamento. Noi siamo con il Papa. Non è questione di simpatia o di affinità maggiore o minore verso l’uno o verso l’altro. Noi siamo con il Papa perché è il Successore di Pietro. A Lui è stato detto: pasci le mie pecorelle. Oggi il Successore di Pietro è papa Francesco. Dunque, non lasciamoci incantare da sofismi. Il Papa è il Papa. Intorno a lui ci stringiamo in unità. Tutti possiamo dare il nostro contributo alla vita della Chiesa, ma papa Francesco, per usare un’immagine, ha il compito di indicare la rotta nella navigazione odierna, la direzione più adatta nel nostro tempo. Il patrimonio fondamentale della fede, come sappiamo, è invariabile, né può essere manipolato a piacimento da un papa, da un vescovo o da un prete. Però, salva la sostanza, può variare il modo di proporlo, si possono valutare con saggezza le priorità nelle scelte pastorali, si può individuare la linea concreta da seguire per aprirsi alle situazioni contingenti, per cercare sempre il bene delle anime, perché questo deve stare a cuore a ogni pastore. Resta la luce del Vangelo, restano lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II, in un’ermeneutica di continuità con il magistero precedente, resta la nostra docilità verso il Pastore della Chiesa di oggi, seguendo il cammino che papa Francesco ci indica. Noi siamo con il Papa, lo amiamo e desideriamo fare tesoro dei suoi insegnamenti. Anche in questo onoreremo la memoria del defunto pontefice emerito e ne seguiremo l’esempio.
Con questi pensieri e questi propositi, desideriamo salutarlo con filiale devozione nel suo passaggio all’altra vita. Senza voler prevenire il giudizio che a suo tempo potrà essere dato da coloro a cui compete, mi viene spontaneo rivolgermi a papa Benedetto con l’inno dei santi pastori e dottori della Chiesa:
Maestro di sapienza
e Padre nella fede
tu splendi come fiaccola
nella Chiesa di Dio.
Tu illumini ai credenti
il mistero profondo
del Verbo fatto uomo
per la nostra salvezza.
Tu guidaci alla vetta
della santa montagna,
dove i miti possiedono
il regno del Signore.
Non si intravede in queste strofe il suo profilo? Non si intravedono il suo magistero, la sua umiltà, la sua mitezza? Così lo abbiamo conosciuto, così ringraziamo il Signore di avercelo donato. A lode di Cristo. Amen.
+ Fabio Ciollaro