Omelia nella solennità del Natale del Signore – Messa della notte

Il Segno piccolo e grande che ci mette in cammino

 

Il buio di questa notte e di ogni notte dell’umanità viene illuminato da una luce che raggiunge un popolo che cammina al buio, dice il profeta Isaia (cf 9, 1): come non vedere in queste parole la condizione dell’umanità intera che tante volte brancola nell’oscurità di ogni tipo? Il buio non fa intravedere l’orizzonte e la direzione dove andare: anche a noi sembra tante volte che, a problemi più grandi di noi, non ci siano soluzioni e non si intravedano vie d’uscita. C’è la pandemia che incalza ancora, ci sono le guerre e la crisi ambientale che metteno in fuga popolazioni intere, ci sono le povertà di tanta fascia di popolazione e i ghetti degli immigrati ai margini delle nostre città. Il Signore non vuole che l’umanità si abitui al buio, ma fa intravedere in ogni tempo la Sua Luce.

Il volto del nostro prossimo, a causa delle tenebre dell’odio e del sospetto, assume i tratti del nemico e dell’avversario; ma questa non è la verità sull’altro, bensì è un’illusione del buio, che deforma la nostra umanità e non ci fa intravedere l’immagine e la somiglianza con il Creatore che è impressa nell’identità di ogni essere umano. Papa Francesco ci ha ricordato che “In questo scontro di interessi che ci pone tutti contro tutti, dove vincere viene ad essere sinonimo di distruggere, com’è possibile alzare la testa per riconoscere il vicino o mettersi accanto a chi è caduto lungo la strada? Un progetto con grandi obiettivi per lo sviluppo di tutta l’umanità oggi suona come un delirio. Aumentano le distanze tra noi, e il cammino duro e lento verso un mondo unito e più giusto subisce un nuovo e drastico arretramento” (Francesco, Fratelli tutti, 16).

“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Is 9,1): è quella che appare all’orizzonte nella Notte Santa, la Luce vera, Colui che ha detto di sé: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12). Questa luminosità non abbaglia, ma si leva dolce e dorata come l’aurora dentro le colline e gli orizzonti delle nostre pianure perché ha i caratteri della tenerezza e della piccolezza. Ai primi ad essere invitati a svegliarsi nella Notte, i pastori delle campagne di Bethlem, è indicato un segno davvero molto piccolo: un Bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’albergo (cf Lc 2,7.12). Come tutti i segni che Dio dona, quello di Bethlem ci sorprende per la sua dimensione; ma è proprio di Dio agire così, come afferma una espressione della tradizione gesuitica: “Non essere costretto da ciò che è più grande e tuttavia essere contenuto in ciò che è più piccolo, questo è divino” (non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est).

Davanti a questo prodigio del Grande “contenuto” nel piccolo, Sant’ Agostino, uomo che ha scoperto Dio dopo aver cercato a lungo il segreto della vita, esclama: “Il Creatore è nato da Maria; il figlio di David è il Signore di David; discende da Abramo colui che era prima di Abramo; l’autore della terra è formato sulla terra; il Creatore del cielo è creato sotto il cielo”. Come non fare nostra questa meraviglia? Il Segno del Bambino nella mangiatoia è umile, ma ha delle grandi risposte per l’umanità. Sono le risposte che ci svelano i grandi misteri che interpellano il nostro cuore e ci mettono in cammino, tutti insieme. È un segno che ci indica quale è la strada e come percorrerla.

Il Bambino è avvolto in fasce ed è deposto in una mangiatoia perché non c’era posto per loro nell’albergo (cf Lc 2,7). In quel “per loro” c’è quasi una sottolineatura che parla di discriminazione: per altri c’era un giaciglio, per Maria e Giuseppe invece no. Può essere questo piccolo Segno una grande luce? Pare proprio di sì, e continua ad essere il lieto annuncio di duemila anni.

Il Bambino avvolto in fasce è Dio che si fa creatura fragile che ha bisogno di cura e di accoglienza; la luce che illumina i buoi orizzonti della storia è in questo Dio che si è fatto uomo come ogni uomo, per insegnarci a riconoscere, accogliere, prenderci cura, a partire dalle mangiatoie, che sono il segno di ogni periferia e di ogni esclusione. Come non ricordare questa sera le mangiatoie dei nostri ghetti e i lettini andati in fiamme con quelle tenere creature che riposavano su di essi, all’accampamento vicino a Stornara? Le fasce, il luogo della nascita, la mangiatoia: la luce, che illumina i popoli, si irradia da lì dove Dio si è voluto manifestare e disarma i nostri progetti, le nostre impalcature ideologiche, le divisioni che erigiamo nei cuori, l’inequità che costruiamo con una economia che crea diseguaglianza, la corruzione e con il malaffare che generano povertà che si perpetuano a volte per generazioni, perché impediscono proprio ai più piccoli di crescere.

Questa notte alcuni godono della loro iniqua ricchezza, rimanendo nel buio del cuore, mentre i poveri che hanno impoverito con i loro loschi affari e con lo spaccio di droga vedono tarpate le ali del loro futuro. Guardando quel piccolo e allo stesso tempo grande Segno, oggi noi ci chiediamo se lo abbiamo compreso ed accolto, se la nostra vita si sta consumando nel buio e nella ricerca di vanità grandiose, oppure si sta convertendo alla luce dell’amore, della riconciliazione, della cura dell’umanità che rifulge nella mangiatoia di Bethlem.

Il popolo che vede la Luce è un gruppo di pastori perché i grandi progetti e le strade di salvezza non sono per una élite di persone, ma sono per tutti, nessuno escluso. C’è una poesia di un autore francese che ha lottato contro il nazismo ed ha scritto molto sulla pace, che sembra incarnare questa aspirazione che nel Vangelo risplende in tutta la sua verità. Egli scrive: “Non verremo alla méta ad uno ad uno. Ma a due a due, se ci conosceremo. A due a due, noi ci conosceremo. Tutti, noi ci ameremo tutti e i figli un giorno rideranno della leggenda nera dove un uomo lacrima in solitudine” (Paul Eluard, 1895-1952).

Il popolo in cammino è costituito da tutti gli uomini, amati da Dio, che si mettono in cammino verso un futuro che assicuri dignità per tutti. È il popolo dei discepoli del Signore Gesù, che Egli invita ad andare ad annunciare il Vangelo a “due a due”, perché testimonino fraternità. È il popolo della Chiesa di ogni tempo, di cui Paolo VI ebbe a dire: “Tutto ciò ch’è umano ci riguarda. (…) Dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro” (Paolo VI, Ecclesiam suam, 101). È il popolo dei sante e delle sante, di cui il nostro popolo è tanto devoto, che si sono sempre fatti fratelli e sorelle di tutti. La luce di Cristo fa questo miracolo: illumina il volto dell’altro e ci fa scoprire che è quello di un fratello.

Il mistero del Natale rafforzi nella Chiesa il senso del cammino sinodale, che è strada da percorre insieme alla Luce di Cristo. Rafforzi la nostra testimonianza, perché siamo chiamati a divenire artigiani di fraternità in ogni relazione, anche le più difficili, attraverso il silenzio verso chi ci offende, il dialogo con tutti, la pazienza dei costruttori di pace. Illumini ogni uomo e ogni donna, perché scopra che la Luce di quel piccolo segno fa intravedere la strada della salvezza e dia incoraggiamento a percorrerla nella fraternità, l’unico modo che è dato all’umanità per raggiungere la beatitudine che Dio prepara a tutti gli uomini, da Lui immensamente amati.

Auguri ad ogni fratello o sorella che cerca una Luce: sollevi il capo verso la mangiatoia di Bethlem. Auguri a chi si sente solo: cerchi il volto dell’altro e scoprirà che c’è. Auguri a chi si sente incamminato verso la Luce e non è solo: guardi lungo i cigli della strada se c’è qualcuno che attende la sua compagnia.

 

 

                                                                                    † Luigi Renna

                                                                  Vescovo di Cerignola- Ascoli Satriano