“Il mio amato è mio ed io sono sua” (Ct 2,16) Alle care Suore nei giorni della pandemia, per la celebrazione della Pasqua

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Carissime Sorelle,

in questi giorni che ci fanno vivere una storia mai vissuta prima, nell’elenco delle persone menzionate o ringraziate, non ho mai sentito nominare le Suore. Sarà perché sono stato distratto, fra un telegiornale e un comunicato stampa? O sarà perché voi continuate ad esserci senza fare rumore? Del resto, lo Sposo che vi ha scelto non ama la notorietà delle persone a Lui più care e le vuole solo per sé. Come alla sua Sposa Israele, anche a ciascuna di voi dice: “O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole” (Cantico dei Cantici 2,14).

Immagino che anche le vostre case, in questi giorni, abbiano acquistato una dimensione più domestica, come quella da cui un giorno siete uscite per rispondere alla vocazione di ogni creatura, quella di lasciare il proprio padre e la propria madre per costituire una nuova famiglia. La vostra famiglia è davvero speciale: c’è uno Sposo, ci sono tante sorelle che condividono lo stesso Amore e le stesse scelte, c’è una missione.

I giorni si sono fatti più lunghi… Le sorelle anziane, forse, gioiscono di avere le più giovani accanto a loro, finalmente più libere dai tanti impegni di “apostolato”. Le sorelle più giovani sono entrate in un nuovo ritmo di vita, nel quale stanno forse riscoprendo che non è tanto importante quello che si fa in una comunità, ma quello che si è. Se in qualche ora del giorno si sentiranno “inutili”, sarà per ritornare a quel primo Amore, che non ha chiesto loro di fare qualcosa, ma soprattutto di consacrare la loro vita a Lui.

Ed ecco, ora, arriva la Pasqua. Sono i giorni in cui potete rinnovare le parole del Cantico dei Cantici: “Il mio amato è mio ed io sono sua; egli pascola fra i gigli” (Ct 2,16). L’uno per l’altro: è il senso della vita consacrata.

“Ed egli pascola fra i gigli”! Lo ricordate l’odore forte e penetrante dei gigli? Ricordo la festa di Sant’Antonio al mio paese: il profumo di quei candidi fiori riempiva le chiese ed era promessa di una estate imminente. Egli pascola in mezzo ai profumi del nostro umile donarci a Lui.

A voi penso nel secondo giorno della Settimana Santa, quando la liturgia della Messa proclama il Vangelo dell’Unzione di Betania!

“Sei giorni prima della Pasqua…” (Gv 12,1), Gesù continua a visitare la famiglia di Lazzaro, Marta e Maria. Come festeggiare il Signore, che ha ridato la vita a Lazzaro? Non c’è gesto più bello che quello della convivialità di un pasto. Marta avrà messo in atto la sua più raffinata arte culinaria e il profumo dei suoi manicaretti avrà riempito quella casa dove era tornata la vita.

Sì, il pasto. In una comunità la tavola è importante. Le ridona una dimensione domestica. Non mi piacciano molto i tavoli dei monasteri, che sono distanti perché in quel luogo si ascolta la Parola mentre si nutre il proprio corpo. A tavola voi, invece, nutrite la vostra cura reciproca, la vostra gratuità, la vostra sobrietà.

La cura reciproca: perché c’è chi cucina, c’è chi aiuta, chi apparecchia, chi sparecchia e chi lava le stoviglie. È quello che avete visto fare alle vostre madri. Sappiatevi prendere cura delle sorelle, come le mamme si sono prese cura di voi.

È il luogo della gratuità. Alla Provvidenza, che non fa mancare a delle donne povere il pane quotidiano. È il luogo della gratitudine reciproca per quello che ognuna fa e contribuisce a fare.

Ma è anche il luogo della sobrietà: se vi manca qualcosa, ringraziate il Signore perché vi dona ancora di vivere il voto di povertà in una società ricca ed opulenta. E se avete proprio tutto, preparate un piatto per il povero che ci accoglierà nelle Dimore eterne!

“Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli” (Gv 12,3). È un gesto di intimità e di follia, quello che sanno fare le persone che amano. Non solo il banchetto, ma anche quel gesto che non sappiamo ben definire. Sappiamo solo che ai nostri occhi appare uno spreco. Come la vostra stessa vita agli occhi del mondo appare una perdita: “Ma non si poteva fare altro nella vita? Non si può far del bene senza essere consacrata?”. Il Signore, nella Chiesa, ha voluto tante vocazioni, che sono come un giardino fiorito, diceva santa Teresina, in cui ogni pianta ha la sua peculiarità. Ma la vita religiosa non è un mestiere, è amore. È santo spreco. Quello dell’obbedienza, della castità e della povertà. Un unico “spreco” per “l’amato”. Che abbraccia corpo, anima, intelletto, volontà. Per quanto? Per sempre! Scrive Enzo Bianchi: “Il religioso deve ricordarsi che, con la professione, ha stretto alleanza con Dio e con i fratelli e quindi il tempo che vive è in alleanza con il Testimone fedele, Gesù Cristo, l’Amen eterno”. Anche il “per sempre” può sembrare uno spreco! Ma è amore. E, allora, nei giorni della Settimana Santa, i giorni dello Sposo, riditegli il vostro amore, riditegli il vostro “Santo Spreco”: “Il mio amato è mio, ed io sono sua, egli pascola fra i gigli” (Ct 2,16).

Molte di voi sono anziane: accettate la vostra età come il tempo nel quale potete cantare la fedeltà del Signore. Voi potete scandire per ogni anno della vostra vita il ritornello del Salmo 136: “Eterna è la sua misericordia!”

“… e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo” (Gv 12b). Ed ora, vi invito a guardare oltre le porte delle vostre case religiose, ai luoghi della vostra missione. Lì avete lasciato un profumo. Non era quello di chi voleva lasciare il ricordo di essere una brava portinaia, catechista, infermiera, insegnante, donna di carità; ma di chi ha voluto fare tutto questo per il Signore e si è trovata non solo a coprire di affetto il Suo Sposo davanti al tabernacolo, ma ha portato inconsapevolmente quella fragranza tra gli uomini e le donne del nostro tempo. Il profumo versato sui piedi del Signore non viene trattenuto dalla pelle ruvida delle sue estremità da gran camminatore, ma si espande, cambia l’aria e la riempie di amore.

E chi sono quei piedi? Sant’Agostino commenta: “Forte in terra Domini pedes indigent”: sulla terra i piedi del Signore sono indigenti. I poveri… Hanno tanti nomi, tantissimi volti, numerose povertà. Ma sono sempre il Signore, i suoi piedi. E il tuo profumo di suora, ogni giorno, si riversa davanti al tabernacolo in atti di amore, per poi diffondersi a chi incontrerai e ritornare a sera a dire: “Il mio amato è per me, ed io sono sua; egli pascola fra i gigli” (Ct 2,16).

Ecco i Santi giorni della Pasqua. Li vivrete lontani dalle celebrazioni solenni, ma nulla potrà impedirvi di dire al vostro Sposo il vostro amore, il vostro Santo Spreco! Vi sentirete più vicine al popolo di Dio, che fa “digiuno” di Eucaristia. E avrete il compito di vigilare per tutta la gente altra, il giorno di Pasqua, per poi cantare con tutto il popolo di Dio l’Alleluia che si leverà gioioso e forte nelle vostre cappelle!

Santa Pasqua a tutte!

                                                                                        Vi abbraccio

                                                                                             Vostro

                                                                                        † Luigi Renna

                                                                                             Vescovo